Lettera aperta a tutti i veri appassionati di affettatrici d’epoca
Dal 1983 ho visto le cose più incredibili.
Ho visto la crescita indiscriminata dei prezzi con episodi di malcostume e scorrettezza quando non di
evidente disonestà. Ho visto Berkel 21E pesanti ed ingombranti trasformate con pezzi nuovi di fonderia in
Berkel 21H più contenute e leggere quindi più facili da vendere.
Ho visto i collage più arditi, i colori più assurdi, i marchi e i decori più strampalati, e tutto per stupire il cliente
che è spesso totalmente privo della cultura tecnica necessaria ad evitare questi trabocchetti.
Ho visto decori e filetti tipici di macchine dei primi del 900 applicati a modelli degli anni ’60. Ho sentito
affermazioni insostenibili: se qualcuno afferma che il colore delle affettatrici era dato in funzione della loro
destinazione lo dimostri! Se il colore nero o grigio o avorio veniva utilizzato sulle macchine destinate
all’industria fatemi vedere la circolare che lo stabilisce o un documento qualsiasi che lo riporti. A qualcuno
risulta che qualche agente, avendo a disposizione una macchina di colore rosso si sia mai rifiutato di
consegnarla ad un’industria perché il colore non era corretto?
Ho sentito teorie ridicole che ritenevano legittimo ricondizionare una macchina sempre, in ogni caso e senza
eccezioni. Se ad una macchina manca il gruppo affilatoio lo mettiamo nuovo e zitti? Se manca anche il
piatto dentato? O addirittura il carrello? Fino a che livello di sostituzione possiamo spingerci senza
compromettere l’originalità? Di questo passo potremmo provocatoriamente affermare che sia legittimo
smontare una macchina e ricostruirne altre 1000 attorno ad ogni pezzo originale. Fino a che punto la scusa
del ripristino del buon funzionamento ci copre nella sostituzione di tanti organi meccanici più facili da
sostituire che non da riparare?
Secondo me è ora di darsi una regolata.
A mio parere bisogna cominciare a diffondere dati nozioni tecniche e notizie storiche solo se si ha la
possibilità di dimostrare ciò che si sostiene.
Quanto è bello ed onesto un bel “non lo so” o un più generalizzato “non si sa”? E’ così drammatico non
apparire super esperti?
Oggi abbiamo chi si auto proclama niente di meno che “il migliore al Mondo”! ma che campionato ha vinto?
Oppure l’unico autorizzato!! Autorizzato a fare cosa?
Per effettuare un restauro non serve nessun permesso.
Siamo sicuri che un’autorizzazione di utilizzo del marchio, per ottenere la quale, si paga un canone annuo,
sia la miglior garanzia di originalità e di qualità di un restauro?
E l’entità che rilascia queste “autorizzazioni” che competenza ha? Dove e quando l’ha dimostrata? Oppure
si pensa che anche cultura e competenze si possono acquistare?
Nessuno contesta il diritto di sfruttamento commerciale di un marchio legalmente acquisito ma bisognerebbe
che fosse ben chiaro che questo diritto non porta automaticamente in dote competenze e conoscenza
storica, che si guadagnano sul campo con l’esperienza e la ricerca.
La domanda finale e un po’ polemica che faccio a tutti quelli che avranno avuto la pazienza e la curiosità di
leggere questo mio sfogo è la seguente: sarà più credibile una passione coltivata per 25 anni, che ha
portato alla raccolta di documenti e materiali, veramente unici al mondo fino a prova contraria, o la
semplice acquisizione dei diritti di un marchio che evidentemente si ritiene generi conoscenza per induzione
divina?
Lettera aperta ai collezionisti 2
Fidenza 22/02/15
Quando nel 2009 pubblicai la prima lettera aperta mi arrivò di tutto: mail di apprezzamento (pochi restauratori e molti
collezionisti) mail di insulti, minacce, e diffide di avvocati (tutte da restauratori).
Evidentemente avevo toccato un nervo scoperto, molto scoperto.
In questa lettera facevo un ritratto generico, senza riferirmi a nessuno in particolare, ma facendo un collage del peggio che avevo
visto in vari anni, luoghi e situazioni.
Forse l’unica realtà riconoscibile era la casa madre del tempo, con cui polemizzavo sul rilascio a pagamento di pseudo autorizzazioni
al restauro, che legittimamente monetizzava, ma senza disciplinare la materia dal punto di vista qualitativo.
Ovviamente la lettera non è mai stata ritirata o modificata, nonostante i vari tentativi per via legale o meno.
La cosa veramente curiosa è che in parecchi si sono riconosciuti nel ritratto, come in uno specchio virtuale; ognuno di questi
pensava che mi riferissi a lui in particolare, dimostrando una coda di paglia di dimensioni ciclopiche.
Dopo parecchi anni devo dire che la situazione è un po’ migliorata, anche grazie a chi in buona fede, per mancanza di conoscenza e
informazioni, restaurava un po’ a “sentimento”, e che poco alla volta ha preso consapevolezza della cosa e si è migliorato o lo sta
facendo.
Del resto anche noi negli anni ’80 abbiamo seguito lo stesso percorso ( vedi la nostra storia) e sarebbe scorretto non ricordarlo.
Oggi vedo finalmente un po’ di interesse anche nei documenti tecnico-storici che sono alla base delle certezze a cui bisognerebbe
fare riferimento
Il concetto comunque resta uno: con un’affettatrice d’epoca, Berkel o altro che sia, il legittimo proprietario ci può fare quello che
vuole, l’importante è che si dica in modo trasparente che certe scelte tecniche ed estetiche vengono fatte in modo personale e
arbitrario, senza una prova documentale che le sostenga.
Come scrivo nella lettera precedente, rispondere con un non so, quando non si sa, non è peccato ma cosa buona e giusta.
Per riderci un po’ su vi racconto del caso più eclatante che mi è capitato negli ultimi mesi, che è relativo all’acquisto di una Berkel
mod. 3 restaurata, di colore nero, comprata in Germania e “costruita appositamente per le SS.”
Al di la del discutibile interesse per la materia, e del fatto che la macchina fu messa fuori produzione nel 1924 mentre il famigerato
corpo fu fondato nel 1926, qui ovviamente è andata in scena la tempesta perfetta, formata da un’enorme e fantasiosa malafede
del venditore unita ad una profonda ingenuità dell’acquirente, che a mia domanda specifica ammise di essersi fidato e di non aver
chiesto prove di questa affermazione.
Certo questo è un caso limite delle esagerazioni storiche dei restauratori e commercianti, ma resta comunque molto da fare,
perché ancora oggi “business is business”, o se vogliamo stare sul classico “pecunia non olet”.
In troppi sono ancora disposti a sostituire volani, a inventarsi decori e storie insostenibili come ad affermare che il loro è il vero
rosso Berkel, per adeguarsi subito dopo alle richieste del cliente e proporre un colore che si intoni all’arredamento. (Ne abbiamo
viste di azzurre e di verdi)..
Infine un ringraziamento preventivo a chi anche questa volta ha avuto la pazienza di leggere fino in fondo questa lettera aperta,
( non escludo una terza “puntata” tra qualche anno)
Enrico Sozzi
P.s. comunicazione di servizio:
Ora una preghiera a chi, come al solito, si sentirà attaccato direttamente: per favore non spendete soldi inutilmente con avvocati,
perché stavolta nemmeno rispondo, e come la volta scorsa non tolgo e non modifico nulla.
Se vi riconoscete in qualche passaggio, rassegnatevi, non siete così importanti … e probabilmente non mi riferisco a voi.
A chi non vorrà tener conto della mia cordiale richiesta, direi inoltre che, essendo questo uno scritto pubblico, considero ogni tipo
di comunicazione pervenuta, indipendentemente da formato e tecnologia utilizzati, e in qualsiasi modo sia ad esso collegato o vi
faccia riferimento, altrettanto pubblica e quindi pubblicabile.
Saranno i lettori i veri arbitri della vostra eventuale cattiva coscienza .